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GIORNI FELICI

regia Giorgio Strehler (ripresa da Carlo Battistoni)

17 Novembre 2004   28 Novembre 2004
date da definire

17 | 28 novembre 2004

Piccolo Teatro di Milano | Teatro d’Europa

Giorni Felici
di Samuel Beckett

traduzione Carlo Fruttero

con Giulia Lazzarini e Franco Sangermano

regia Giorgio Strehler (ripresa da Carlo Battistoni)

regista assistente Giuseppina Carutti

scene Ezio Frigerio

costumi Luisa Spinatelli

musiche Fiorenzo Carpi

movimenti mimici Marise Flach

luci Gerardo Modica

Dopo trentacinque anni di lavoro e oltre duecento regie, nel maggio del 1982, Giorgio Strehler mette in scena per la prima volta un testo di Samuel Beckett e affida la sua lettura, per certi versi “rivoluzionaria” rispetto all’ormai consolidato “canone” beckettiano, a Giulia Lazzarini, accompagnata da Gianfranco Mauri. Una lettura animata da una decisa volontà di far trasparire un’idea di speranza e di vitalità in un universo di segni e parole in apparenza disperato, e che la Lazzarini traduce in piccoli gesti, in accenti di profonda umanità, nell’aggrapparsi disperata agli oggetti quotidiani di volta in volta estratti dalla borsetta, frammenti e tracce di una vita che non accetta di spegnersi. Una sfida audace quella di Strehler, e un duro lavoro quello di Giulia Lazzarini.

Così Ettore Gaipa nel diario di bordo delle prove:

“Qui non sei una sconfitta – le gridava dal buio, ordinando che la sommergessero di sabbia fino alle orecchie – ricordalo. Winnie sa bene che verrà il giorno in cui dovrà imparare a parlare da sola, e poi ne verrà un altro in cui non potrà neppure parlare. Ma lei non cederà, lei sarà ancora viva, lei combatterà come un leone”. “Non è la prima volta che rimetto in scena Giorni felici – dichiara Carlo Battistoni – uno spettacolo che dura ormai da più di vent’anni, di cui non abbiamo (perlomeno non dell’edizione diretta dal Maestro) alcun documento video. Oggi la difficoltà più grande nel rimontarlo è quella di adattare una gabbia preesistente, a qualcuno che è cambiato come è successo a Giulia in tutti questi anni, di non rifare pedissequamente le cose per lasciare uno spazio di movimento all’attrice che è più cosciente del suo personaggio e che ha raggiunto una maturità interpretativa straordinaria attraverso la quale permette allo spettatore di sentire davvero la sua sofferenza. Prima questa sofferenza era, per così dire, la chiave della sua interpretazione; oggi si è trasformata in un modo di essere e di sentire la scena: per lei qualcosa di infinitamente più pericoloso, quasi come volteggiare senza rete”.