B.#03 BERLIN
regia, scene, luci e costumi Romeo Castellucci
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B.#03 Berlin è un Episodio che scorre attorno a una donna senza nome. Anonimia, privazione della parola, invasione alfabetica e microbìa in rapporto alla legge, sono le condizioni iniziali di questa tragedia. Sulla linea del sipario, che demarca il dentro dal fuori, si addensa una grande tensione. Tensione del limite e del contenimento. Il tono dominante è la somma centrifuga di tutti i colori e di tutte le forme del mondo, che premono su ogni individuo. Le tavole della Legge sono posate sul palcoscenico. La loro caduta determinerà un terremoto, segno del legame tellurico tra legge e occupazione spaziale della terra. Un poligono di tiro mostra il prendere di mira un bersaglio: un atto violento che imita il destino. E la donna anonima viene sollevata dalla mano del destino. Da qui comincia un viaggio che si confonde in un sogno popolato da figure che indicano mondi futuri, utopie, fondazioni.
Le due rappresentazioni dell’episodio B.#03 Berlin della Tragedia Endogonidia del 12 e 13 febbraio 2005 al Teatro Mercadante prevedono, secondo la natura del progetto diretto da Romeo Castellucci, la realizzazione (in uno spazio ancora da definire) di Crescita. A Napoli l’azione è organizzata in collaborazione con Galleria Toledo Teatro Stabile d’Innovazione.
Crescita
…da qualcosa o di qualcosa. In questo caso è qualcosa che cresce da un corpo e si sviluppa singolarmente benché collegato a quel corpo. La Crescita è un’azione teatrale che dota l’intero arco della Tragedia Endogonidia, da cui essa dipende, di una sua particolare messa a fuoco. La Crescita non è dunque un’azione autonoma: deriva dall’Episodio cui fa riferimento (nella sigla del titolo) e ne sviluppa un aspetto, un oggetto. L’idea che sta al fondo della Tragedia Endogonidia è infatti quella di un pensiero che si muove e che si moltiplica: si muove di città in città e si moltiplica da spettatore a spettatore. Avendo abolito il Coro, la cui funzione classica era quella di spiegare i fatti che si avvicendavano, ora tocca soltanto agli spettatori “spiegare”, nel vero senso della parola: porre mano in prima persona alle parti più nascoste del teatro. Ma oggi il problema della drammaturgia sta nelle pieghe, non nella spiegazione. Gli occhi vedono molto bene quello che succede. La mancanza delle parole però pare confondere una veduta così chiara. In realtà la veduta continua a essere chiara e l’incomprensione è fortemente presunta: essa tradisce l’abitudine ad affidare soltanto al linguaggio verbale la chiave di lettura della storia. Qui occorre accettare una sospensione che non è un’abolizione a priori della parola. E’ semplicemente un silenzio, che non è un non-parlare, ma un parlare senza parole. Il fatto è che la parola, in questo momento, è uno strumento fortemente intriso di una analogia che lo impasta alla violenza banale delle potenze. Falso sarebbe fidarsi e confidare nella sua presuntamente esclusiva capacità comunicativa. Oggi la comunicazione è una tragedia che viene trattata come una commedia. E il teatro, che è la culla delle rappresentazioni tragiche e comiche, non può ignorare questa realtà e deve porre rimedio a questa micidiale confusione che induce alla credenza e alla indifferenza. Se il teatro ha oggi una funzione, è quella di andare a fondo della propria specificità, che non è quella della comunicazione e dell’analogia, ma quella della rivelazione e dell’interruzione. Personali, beninteso; partecipate o condivise, ma derivanti da un rapporto personale con la scena, non preparato o orientato da un mediatore esterno. Ecco allora che quello che a prima vista sembra assurdo e arbitrario, può a mano a mano parlare, può aprire prospettive di pensiero e di interpretazione che si fanno rivelatrici di quello che capita in scena, e che sorprende gli spettatori come autonomi artisti del pensiero. Su questa Crescita, perciò, non vogliamo aggiungere altro oltre a questa introduzione, perché la spiegazione può avvenire soltanto durante e dopo l’azione teatrale. E personalmente, semplicemente….