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LE DOGLIANZE DEGLI ATTORI A MASCHERA

testo e regia Enzo Moscato

TEATRO MERCADANTE 8 Gennaio 2008   13 Gennaio 2008

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LE DOGLIANZE DEGLI ATTORI A MASCHERA

Biennale Teatro di Venezia / Compagnia Enzo Moscato
in collaborazione con Mercadante Teatro Stabile di Napoli / Benevento Città Spettacolo
(Libero omaggio a Carlo Goldoni, ispirato al suo Molière, del 1751)
testo e regia Enzo Moscato
con
Tata Barbalato, Valentina Capone, Salvatore Chiantone, Cristina Donadio, Lalla Esposito, Gino Grossi, Carlo Guitto, Pasquale Migliore, Enzo Moscato, Salvio Moscato, Mario Santella, Francesco e Gianky Moscato, Giuseppe Affinito jr.
scena Paolo Petti
costumi Tata Barbalato
musiche Donamos
luci Cesare Accetta

La nuova creazione di Enzo Moscato propone la fantasiosa riscrittura scenica di uno dei testi ritenuti tra i minori e i meno rivisitati di Carlo Goldoni, Il Molière, del 1751. Dell’antico copione originale, il testo di Moscato mette a fuoco l’ironica ma non superficiale intuizione psicologica dei personaggi; la tematica grottesca della passione nutrita dall’ormai maturo Molière per la giovane figlia della sua ‘storica’ amante, la Bejart (al limite del sospetto d’incesto); la dimensione drammaturgica, stupefacentemene ‘aperta’ e antididascalica, quasi modernamente meta-teatrale (un commediografo famoso che indaga la vita intima di un altro celebre autore di teatro, senza malevolenza, ma anche senza alcuna ambiguità o reticenza o ipocrisia); tenta, insomma, come afferma lo stesso Moscato, “di restituirci la trascurata opera del Veneziano in tutta la sua viva e anticonformistica incisività, in tutta la sua leggiadra e maliziosa levità d’atmosfere, fatta di ritmiche battute a rima baciata, che pendono, ‘qual graziosi fronzoli’, da una (invece) ferrea struttura formale ‘a incastro’ e ‘a rimando’, intessuta com’è, di allusivi specchi metaforici, di espliciti doppi ‘autorali’ (non solo Goldoni e Molière, ma anche ‘tracce’ di Petito, Scarpetta, Feydeau, nonché, ovviamente, la neo-drammaturgica vena dello stesso Moscato…), di significanze e accenti linguistici, dei più vari e meticci, pulsanti e musicali, nel cui mutevole fondo balugina, forse, l’autentica intenzione di Goldoni, nello scrivere e dedicare il testo al suo insuperato maestro ‘in pectore’ di Teatro, Jean-Baptiste Poquelin, detto Molière, simbolo, egli medesimo, dell’essenza, semplice e profonda, del ‘fare’ scena: fatua doglianza e malcelata ‘nostalgia di maschera’ (chi fa Teatro ne ha sempre un prottettivo bisogno, forse…), trionfo e impopolarità, libertà e veleno, prigionia e mai vinto desiderio d’evasione, dagli impicci o contingenze della Vita. Più o meno quello che, ancora oggi, sotto qualunque cielo, un qualsivoglia artista prova e ri-prova sulla propria (e trascurabile) pellaccia”.